Perché la tecnica di cattura e stoccaggio del carbonio Ccs non convince tutti

di Riccardo Liguori per linkiesta.it

È stata pensata come “tecnologia ponte” per abbattere le emissioni climalteranti di settori produttivi difficili da decarbonizzare, come acciaierie, cementifici e raffinerie. Ma secondo il Wwf rappresenta solo una visione sbagliata della svolta ecologista

È considerata strategica, nell’ambito della politica energetica europea, per mitigare i cambiamenti climatici ma allo stesso tempo rischiosa, ambigua e illusoria per raggiungere la decarbonizzazione nelle quantità e nei tempi richiesti dall’Accordo di Parigi.

Si chiama Ccs, acronimo di Carbon capture and storage, e identifica l’insieme di processi che dalla cattura dell’anidride carbonica, presente nei prodotti di combustione dei combustili fossili, porta al suo confinamento nel sottosuolo. Come indicato nel report pubblicato lo scorso maggio dall’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) “Net Zero by 2050. A Roadmap for the Global Energy Sector”, il mancato sviluppo di questa tecnologia potrebbe ritardare o impedire lo sviluppo dei processi di cattura per le emissioni di processo derivanti dall’industria chimica, siderurgica e del cemento, rendendo molto più difficile raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050. 

Come ha specificato a Greenkiesta Giovanni Brussato, ingegnere minerario e autore del libro “Energia verde? Prepariamoci a scavare”, la Iea stima che entro il 2030 a livello globale verranno catturati 1,6 giga tonnellate (Gt) di CO2 all’anno, che salgono a 7,6 Gt nel 2050 e circa il 95% della CO2 totale catturata nel 2050 sarà stoccato in depositi geologici permanenti. 

«Anche la Iea» – ha ricordato Brussato – «concorda nell’affermare che la capacità di stoccaggio geologico globale sia considerevolmente superiore a quanto necessario per immagazzinare la CO2 catturata».

Riduzioni medie di CO2 dal 2020 in base alle tecnologie.

Per facilitare la realizzazione di impianti termoelettrici dotati di tecnologie di cattura e stoccaggio geologico dell’anidride carbonica, nel 2009 Parlamento e Consiglio europei hanno emanato, su proposta della Commissione europea, la direttiva 2009/31/CE, inserita nel pacchetto Clima-energia, per definire un quadro giuridico comune a livello europeo per lo stoccaggio geologico ambientalmente sicuro del biossido di carbonio. Come viene dichiarato nelle premesse della direttiva, la Ccs rappresenta una “tecnologia ponte”, in grado di mitigare gli effetti del cambiamento climatico.

Le potenzialità
Secondo Giovanni Brussato, Ccs rappresenta una importante risorsa, verso la neutralità carbonica, necessaria per rendere sostenibili settori hard-to-abate, cioè difficili da decarbonizzare, come l’industria chimica, siderurgia e i trasporti. «Questa tecnologia può inoltre facilitare la produzione di idrogeno pulito dal gas naturale o dal carbone, che sono le fonti di quasi tutta la produzione di idrogeno oggi, e fornire un’opportunità per portare l’idrogeno a basse emissioni di carbonio in breve termine ad un costo competitivo specialmente in quelle regioni con combustibili fossili a basso costo e risorse di stoccaggio di CO2».

«L’anidride carbonica può essere confinata o riutilizzata (in questo caso parliamo di Carbon capture utilization and storage o Ccus, ndr) ma visto che il mercato per il suo riutilizzo è attualmente limitato, la maggior parte dovrà essere necessariamente confinata» – ha continuato l’ingegnere mineriario – «il confinamento geologico può essere realizzato utilizzando i giacimenti già sfruttati di petrolio e di gas, le falde acquifere saline profonde o i depositi di carbone non coltivabili. Pur essendo in sviluppo altre tecnologie come lo stoccaggio oceanico nelle profondità marine o il sequestro minerale attraverso un processo di carbonatazione, il confinamento geologico è attualmente l’unica presa in considerazione dalla normativa europea». 

Come ha ricordato l’ingegnere, a livello globale la capacità di confinamento della CO2 in giacimenti già sfruttati di petrolio e di gas è di oltre mille Gt mentre nei depositi di carbone è di oltre 35 Gt, se consideriamo anche le falde acquifere saline profonde si stima una capacità aggiuntiva tra 400 e 10mila Gt che, rapportata alle 33,6 Gt di emissioni globali di CO2 del 2019, consente lo stoccaggio per centinaia d’anni. Come ha sottolineato Enrico Mariutti, presidente dell’Istituto di alti studi in geopolitica e scienze ausiliarie e autore del libro “La decarbonizzazione felice”, oggi esistono 17 impianti su scala industriale che catturano 40 milioni di tonnellate di CO2, il più grande 8,5 milioni all’anno. «Erano però stati costruiti sostanzialmente per scopo dimostrativo, per fare vedere che si poteva fare: nessuno aveva immaginato l’adozione, su larga scala, di questa tecnologia».

Le perplessità
Tra gli aspetti della Ccs che perplimono la comunità scientifica e destano preoccupazione nella società civile ci sono il comportamento della CO2 in mezzi porosi e permeabili, i cambiamenti chimico-fisici che possono verificarsi quando viene iniettata in un ammasso roccioso e il trasporto dell’anidride carbonica.

Secondo Brussato, analizzando i rischi connessi al confinamento geologico emerge che il principale problema che può manifestarsi nella fase di iniezione qualora il pozzo presentasse dei difetti tecnico-progettuali è assimilabile a quello che si avrebbe con il gas naturale. Le statistiche, ha specificato l’ingegnere, lo indicano peraltro come un rischio estremamente raro.

«Naturalmente – ha sottolineato Brussato – è fondamentale la scelta dei siti, che deve avvenire in base alle loro caratteristiche geologiche, in aeree dove il rischio sismico è minimo. Nel caso di giacimenti di petrolio o gas impoveriti la conoscenza della condizione geologica dovrebbe senz’altro essere esaustiva pertanto il rischio di una fuga di CO2 verso la superficie è da ritenersi statisticamente estremamente raro e comunque difficilmente potrebbero esserci effetti letali dal momento che i fattori di dispersione in atmosfera contribuirebbero ad attenuare le concentrazioni di anidride carbonica al suolo». 

Per quanto riguarda invece la fase di trasporto, il rischio non è maggiore di quello che avviene attraverso le condotte di gas naturale, con l’aspetto migliorativo che la CO2 non è infiammabile e quindi le conseguenze in caso di eventuali perdite è lecito attendersi siano inferiori. 

La diffusione in Europa, Stati Uniti e Cina
Veniamo ora ai dati sull’impiego internazionale di questa tecnica. Per quanto riguarda il Vecchio Continente, oggi due impianti immagazzinano 1,7 MtCO2 l’anno e altri 11 progetti, con una capacità combinata di quasi 30 Mt annuali, sono in fase di sviluppo. Circa il 70% delle emissioni derivanti dalla produzione di energia e dall’industria si trova entro 100 km da un potenziale sito di stoccaggio e il 50% entro 50 km. Come ha spiegato Brussato, la capacità totale di stoccaggio potrebbe arrivare a 300 Gt, o quasi 80 anni alle emissioni attuali.

Spostandoci ad Ovest, invece, troviamo il Paese leader globale di questa tecnologia, che la sostiene, in un ambiente favorevole agli investimenti, con incentivi politici. «La maggior parte delle fonti di settori hard-to-abate negli Stati Uniti si trova vicino a potenziali siti di stoccaggio geologico e lo stoccaggio potenziale totale è stimato a 800 Gt, o 160 anni di emissioni attuali del settore energetico statunitense», ha specificato Brussato. 

Per quanto riguarda invece l’Oriente, qualche mese fa la China National Offshore Oil Corporation (CNOOC) ha annunciato il primo progetto di Ccs in Cina che sequestrerà 300mila tonnellate di carbonio all’anno per iniettarlo nel fondale marino nell’estuario del fiume Pearl, 200 km a sud-est di Shenzhen. «Tutti i precedenti progetti di cattura del carbonio della Cina sono stati realizzati a terra e la cattura del carbonio è considerata una parte essenziale del percorso nazionale verso la neutralità carbonica», ha commentato l’ingegnere.

Una tecnologia “più rischiosa che utile”?
Per il Wwf la cattura e lo stoccaggio del carbonio non costituisce un’opzione significativa nella strategia di mitigazione del cambiamento climatico. L’organizzazione ambientalista l’ha ribadito lo scorso 25 ottobre in occasione della presentazione dello studio che ha commissionato al think tank indipendente sul clima Ecco, “Ambiguità, rischi e illusione della Ccs – Ccus. Criticità connesse allo sviluppo in Italia di una tecnologia più rischiosa che utile”.

«La Ccs emerse nel pieno delle polemiche intorno all’ex presidente americano George W. Bush che, dopo aveva ritirato l’adesione degli Stati Uniti al Protocollo di Kyoto, insieme al suo vice Dick Cheney tirò fuori dal cappello questa soluzione magica: continuare a usare i combustibili fossili e catturare l’anidride carbonica. Come Wwf, avevamo inizialmente aperto il credito a questa tecnologia ma dopo anni di sperimentazioni, cominciate prima ancora della scelta di Bush, non possiamo non prendere atto che questa non è certamente la soluzione su cui puntare», ha spiegato Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia, per poi sottolineare: «L’impressione è che nel dibattito attuale la Ccs sia vista da una parte come un modo per rinviare l’azione e dall’altra per far rimanere i combustibili fossili al centro del sistema energetico. Questo non è ammissibile perché non ci consente né di prendere atto della velocità e della pericolosità del cambiamento climatico in atto né di agire di conseguenza». 

Anche Michele Governatori, co-autore del report commissionato dal Wwf, insiste sul fatto che, quando si cita la CCS, si tende a dimenticare che non si tratta di una novità. Al contrario, i processi di stoccaggio, e in parte di separazione, dell’anidride carbonica esistono da circa 50 anni. 

«Sono stati e sono tuttora principalmente legati al mondo dell’upstream del gas e del petrolio (quindi alle fasi di esplorazione, perforazione ed estrazione di questi combustibili fossili, ndr). È in questo settore che ci si è abituati, ben prima della consapevolezza dei rischi dei cambiamenti climatici, a separare e riutilizzare l’anidride carbonica emessa dai pozzi e associata agli idrocarburi per poi rimetterla nei giacimenti stessi ed estrarre idrocarburi grazie alla tecnica dell’enhanced oil recovery», ha specificato Governatori, che ha poi citato l’esperimento pilota di oltre dieci anni fa di Enel ed Eni per catturare l’anidride carbonica emessa dalla centrale termo-elettrica a carbone di Brindisi, trasportarla in un’autobotte fino al piacentino e reiniettarla in un giacimento di gas esausto. 

«Analizzando i dati pubblici presenti sul sito del ministero della Transizione ecologica non abbiamo trovato traccia sulle quantità che sarebbero state effettivamente reiniettate» – ha sottolineato Governatori – «Di questo esperimento importante, che vede la collaborazione dei due giganti italiani dell’energia, non si sa nulla ed è ragionevole pensare che non si sia fatto nulla, che ci siano state delle difficoltà. È preoccupante sentir parlare oggi di progetti su scala industriale, in parte dagli stessi proponenti come Eni, quando l’unico esperimento fatto in Italia sembrerebbe essere stato affossato in qualche forma di insuccesso oppure, se è stato portato a termine, oscurato». 

Inoltre, secondo il Wwf, la Ccs avrebbe un’incidenza irrisoria rispetto al fabbisogno di riduzione delle emissioni e i progetti finora realizzati mostrerebbero la sua inefficienza anche economica: dopo decenni di sviluppo, la cattura dell’anidride carbonica ha raggiunto una capacità di circa 40 Mt di CO2 all’anno, corrispondente allo 0,1% di tutta la CO2 emessa a livello mondiale nel 2019.

Altro punto emerso durante la presentazione del report sulle criticità di questa tecnica è che non risolverebbe il problema delle emissioni climalteranti ma, semplicemente, lo nasconderebbe. «Se confiniamo l’anidride carbonica sottoterra, qualcuno dovrà poi controllare che i giacimenti siano presidiati e che non sussistano delle fuoriuscite – ha spiegato Governatori – Inoltre, l’operazione di conservazione della CO2 stoccata dovrà essere condotta a tempo indeterminato. Per servirci ancora dei combustibili fossili scegliamo una tecnologia che ci imporrà una eredità potenzialmente dannosa da tenere sottoterra e da gestire per il resto della vita del genere umano. Non è una questione tanto dissimile dalla gestione e dallo stoccaggio delle scorte radioattive del nucleare civile». 

Secondo Governatori si tratterebbe inoltre di una scelta che né a breve né a lungo termine risulta più promettente delle rinnovabili, considerate il mezzo più economico per produrre energia elettrica. 

Per Federico Butera, professore emerito di fisica e tecnica ambientale al Politecnico di Milano, la Ccs porta con sé una serie di altri elementi oltre la CO2: «continuare a posporre il momento in cui usciamo dalla logica lineare per entrare in quella circolare non ci permette di andare lontano. Inoltre, che sia fra 100 o 500 anni, a un certo punto i luoghi in cui confinare l’anidride carbonica finiranno. In più, dovremo anche considerate gli eventuali impatti di questa tecnologia sugli ecosistemi».

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