Ok, ma quanto costa la transizione?

By Francesca Santoro per ottimistierazionali.it

La strada per la Transizione Ecologica non è priva di ostacoli e criticità, ne stiamo avendo un primo assaggio con l’aumento dei prezzi dell’energia (noi di FOR ne abbiamo parlato qui). Se l’aumento dei prezzi dei combustibili fossili deriva da una serie di fattori – la dipendenza dell’Europa per le forniture di gas, il rincaro dei prezzi dei permessi per emettere CO2, minore produzione di gas nei giacimenti – anche le energie rinnovabili hanno un loro prezzo. E non solo in termini economici.

Le materie prime

Aumentando la produzione di energie rinnovabili, aumenterà anche la richiesta di materie prime per la costruzione di impianti. «Mano a mano che la domanda di una materia prima aumenta, infatti, siamo costretti ad andarla a cercare in luoghi sempre più remoti e in giacimenti sempre meno ricchi», ha scritto a giugno Enrico Mariutti, con importanti ricadute sui costi di produzione. Un generatore per la produzione di energia eolica, infatti, richiede un gran quantitativo di materie prime, così come un impianto fotovoltaico ne richiede altre, fra cui il litio, di cui allo stato attuale non abbiamo abbastanza disponibilità.Qui è possibile ascoltare il podcast con Enrico Mariutti

Pur immaginando che troveremo ulteriori giacimenti, facendo esclusivo affidamento sulle fonti rinnovabili la domanda aumenterà, così come i costi per scavare i giacimenti – sempre più lontani dalla superficie e inaccessibili.

Impatto economico ed ambientale

Mariutti ha precisato che ancora prima del problema della disponibilità in natura delle materie ci imbatteremo nel problema della sostenibilità in termini economici, cioè i costi di estrazione, trasporto. E l’impatto ambientale non è meno significativo, paradossalmente. Pannelli fotovoltaici e pale eoliche sono destinati ad occupare sempre di più il nostro panorama, ovunque andremo. L’inchiesta dell’Espresso parla di 82mila ettari, solo in Italia, per far fronte alla produzione di 50 GW richiesta dall’Unione Europea per il 2033.

L’agro-fotovoltaico

Anche l’agro-fotovoltaico sembra una buona soluzione alla questione del consumo dei terreni. Il 27 ottobre, in occasione del Key Energy 2021, Andrea Ghiselli, amministratore delegato di EF Solare, ha sottolineato il contributo dell’agro-fotovoltaico alla transizione energetica, che permette di azzerare il consumo di territorio.

«Io sono per realizzare questi impianti nelle aree industriali dismesse e per sostenere l’agrifotovoltaico, cioè per far diventare le aziende agricole autosufficienti sul consumo energetico attraverso pannelli sulle stalle e sui capannoni: non a caso abbiamo messo quasi 2 miliardi di euro di incentivi in questo preciso settore», ha detto il Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani. Riutilizzare aree dismesse è una soluzione che non solo non toglie terreni all’agricoltura, ma permette anche il recupero delle risorse.

Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), dei 5,9 miliardi destinati all’incremento dell’uso di fonti di energia rinnovabili, 1,1 sono dedicati allo sviluppo del settore agro-voltaico. Nell’agro-fotovoltaico «produzione energetica e agricola si integrano, convivono, non competono per gli spazi, e l’una non scalza l’altra» scrive Daniela Passeri, dunque la produzione agricola non è compromessa ed è anche scongiurato il rischio delle monoculture elettriche e la fuga dei campi. Si mitigano i contrasti fra produzione energetica ed agricola, creando opportunità lavorative, investimenti vantaggiosi e maggiore produttività – l’integrazione fra tecnologia e agricoltura è la strada che va per la maggiore, ne abbiamo parlato qui. Rimane, ovviamente, la questione dei costi e della disponibilità di materie prime per la costruzione dei pannelli fotovoltaici (ed eolici). Il problema, non da poco, sembra essere poco considerato e soprattutto di difficile soluzione.

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