Quanto costa – davvero – l’energia rinnovabile?

Complice un lancio inesatto dell’agenzia ANSA, il 29 marzo un rapporto pubblicato un paio di mesi fa da un’ONG che si oppone all’energia nucleare ha riacceso in Italia il dibattito sul costo delle rinnovabili. 

Adottando i valori proposti dalla banca d’affari Lazard, infatti, il documento stima che attualmente negli USA l’energia rinnovabile è molto più economica di quella fossile e, a maggior ragione, di quella nucleare. 

Dopo una corsa al ribasso da record, sostengono i ricercatori, nel 2019 l’energia eolica ha raggiunto costi di produzione pari a 40 dollari per MWh mentre l’energia fotovoltaica segue a 41, contro 56 dollari per MWh del gas naturale, 109 del carbone e 155 dell’energia nucleare.


World Nuclear Industry Report 2020 

Chiaramente i dati fanno scalpore perché, se fossero reali, a questo punto la transizione energetica sarebbe diventata un affare anche per i consumatori, oltre che per l’ambiente.

Purtroppo, però, non è così.

Innanzitutto, bisogna considerare che i costi delle rinnovabili riportati nello studio sono ribassati artificialmente mentre i costi dei combustibili fossili sono gonfiati, altrettanto artificialmente. 

Le stime di Lazard, infatti, sottraggono dal costo delle rinnovabili gli incentivi pubblici e aggiungono a quello dei combustibili fossili la carbon tax.

Questi due valori non andrebbero conteggiati nei costi di produzione perché non sono variabili produttive ma politiche. Ovviamente sono voci che incidono realmente sull’operatività di una centrale ma trasformarli in costi di produzione significa manipolare i dati: i costi di produzione sono determinati dal mercato, le leggi invece le vota il Parlamento, che rappresenta la sovranità popolare. In poche parole: i costi di produzione non dipendono dalla nostra volontà, la carbon tax e gli incentivi sì.

Inoltre, il rapporto stima i costi di produzione come se dovessimo costruire tutti gli impianti ex-novo. Ma quali sono i costi di produzione delle centrali in funzione, e in particolare di quelle che hanno già ammortato l’investimento iniziale per la costruzione (più del 90% delle centrali americane)? È questo il dato più importante, visto che su queste stime il governo USA dovrebbe pianificare la sostituzione delle centrali esistenti con impianti eolici e fotovoltaici. 

E qui arriva la prima sorpresa: se andiamo a vedere i costi di produzione delle centrali nucleari e di quelle fossili attualmente in funzione negli USA – utilizzando sempre le stime di Lazard – scopriamo che sono ancora nettamente più bassi rispetto ai costi di produzione delle rinnovabili.


Fonte: Lazard

Ma le sorprese non sono finite.

Questi dati, infatti, rimangono stime. Bilanci preventivi, per così dire.

L’agenzia americana dell’energia (Energy Information Agency), invece, colleziona i dati produttivi ed economici di quasi 10.000 centrali e a fine anno pubblica un corposo pacchetto di statistiche. 

Tra i tanti dati, ci sono anche i prezzi pagati dalla rete ai singoli impianti.

Attenzione: in questo caso non parliamo di stime ma di calcoli. Questo è il bilancio consuntivo sulla produzione di elettricità dell’anno precedente.

E qui la sorpresa fa saltare sulla sedia.

Nel 2019, infatti, la fonte di energia più economica negli USA è il nucleare, a 25 dollari per MWh, mentre la più costosa è di gran lunga il fotovoltaico, a 83 dollari per MWh. 

I prezzi dell’elettricità negli USA
2019


Fonte: EIA

I combustibili fossili si piazzano subito dietro all’energia nucleare con 34 dollari per MWh, tallonati dall’eolico a 36. Tuttavia, come rimarca esplicitamente la EIA, il dato dell’eolico è falsato dalla concentrazione geografica: gli USA sono grandi come un continente e gran parte degli impianti eolici installati sinora sono posizionati nelle aree più ventose. Basta spostare lo sguardo sulla California, dove le potenzialità dell’energia eolica sono simili a quelle italiane, per rendersi conto che i costi medi dell’energia eolica su larga scala sarebbero ben altri.


Fonte: EIA

E in Europa?

Eurostat non rende disponibili i costi di produzione dell’elettricità ripartiti per fonti energetiche, quindi non è possibile impostare confronti sui bilanci delle centrali. Tuttavia, numerosi indizi lasciano supporre uno scenario analogo a quello americano.

Innanzitutto, in tutto il continente europeo si riscontra una perfetta correlazione tra il prezzo dell’elettricità e la penetrazione delle rinnovabili. In poche parole, maggiore è la quota di energia rinnovabile nel paniere energetico di un Paese e più alte sono le bollette.

Prezzo dell’elettricità vs penetrazione delle rinnovabili
(2019)


Dati: Eurostat (prezzo dell’elettricità al consumo), Agenzia Internazionale dell’Energia Rinnovabile (potenza installata), ONU (popolazione)

E non parliamo di piccole differenze: in Germania, dove le rinnovabili rappresentano quasi il 50% della potenza installata, i consumatori pagano bollette tre volte più salate che in Ungheria, dove le rinnovabili rappresentano poco più del 10% della potenza installata. 

Un altro indizio indicativo si rintraccia nel bilancio dei sussidi al settore energetico. Nel 2018 l’Unione Europea ha erogato 92 miliardi di euro di sussidi al settore energetico. Di questi circa l’80% sono andati alle energie rinnovabili e solo il 20% ai combustibili fossili. Il problema è che quando guardiamo ai consumi il rapporto si capovolge: l’80% dell’elettricità proviene da fonti fossili e solo il 20% da fonti rinnovabili. Evidentemente, tutti questi incentivi non sarebbero necessari se le rinnovabili riuscissero a camminare sulle loro gambe.

Rinnovabili vs incentivi

Fonte: Commissione Europea

Infine, perché non guardare le proiezioni delle società specializzate nella previsione dell’andamento dei prezzi (forecasting)?

E casualmente sia S&PGlobal Platts sia IHS Markit – i due colossi del settore – prevedono rapidi e drastici aumenti del prezzo dell’elettricità in Europa proprio a causa dalla crescente penetrazione delle rinnovabili.

Le proiezioni sul prezzo dell’elettricità in Europa


S&PGlobal Platts vs IHS Markit

A questo punto sorgono spontanee un paio di domande.

Tra dieci anni, quando le bollette saranno presumibilmente il doppio di oggi, quale sarà l’umore dell’elettorato nei confronti della transizione energetica? Ma anche tra tre anni, quando S&PGlobal Platts e IHS Markit prevedono che le bollette saranno già a +30% rispetto a oggi. Ricordiamoci che il contrasto al cambiamento climatico è una maratona, una corsa a ostacoli e una staffetta (generazionale), non certo una gara da centometristi. E la Presidenza Trump ci ha mostrato chiaramente che gli elettori sono volubili e possono trasformare qualsiasi impegno scolpito nella pietra in carta straccia.

Non solo: è giusto applicare anche alla transizione energetica il “modello pensioni”, e quindi scaricare tutti gli oneri economici sulle prossime generazioni (che, tra l’altro, pagheranno anche il prezzo ambientale più salato)? Con quale diritto morale la generazione che ha consumato di più nella Storia dell’umanità impone a quella successiva di consumare meno? “Ragazzo, se non guadagnerai almeno 40.000 euro l’anno dovrai rassegnarti al trasporto pubblico perché papà con la sua Lancia Thema ha emesso troppa anidride carbonica”. Francamente, suona male.

Infine, siamo sicuri che questo imponente sforzo per la transizione energetica serva veramente a qualcosa? Perché in caso contrario la beffa per le prossime generazioni sarebbe completa. L’ultimo Energy Outlook pubblicato dall’Agenzia Internazionale dell’Energia annuncia la disfatta del carbone e incorona il fotovoltaico nuovo re dell’energia elettrica. Eppure, parallelamente, stima che tra dieci anni, nonostante gli sforzi congiunti dei 122 Paesi che già offrono sussidi alle rinnovabili, le emissioni del settore energetico globale saranno leggermente superiori a quelle attuali. Per di più, ancora in crescita.

La traiettoria delle emissioni di CO2 


Fonte: IEA

Spoiler: ci sono altre soluzioni

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