Con la giusta dose di coraggio e ingegno, spiega Enrico Mariutti nel suo libro, la lotta al climate change nel nostro Paese può diventare un volano di sviluppo per i territori, un moltiplicatore di opportunità per il tessuto imprenditoriale e uno strumento per mitigare le diseguaglianza economiche e smorzare il conflitto sociale.
Se vuole essere veramente efficace, la lotta al cambiamento climatico deve diventare un processo che avanza per inerzia, deve essere lo sfondo incolore su cui va in scena il teatro delle relazioni internazionali, deve essere una nuova dimensione economica che si stratifica sopra alle altre, deve nutrire le speranze delle persone, non pretendere di cambiarle.
Solo così possiamo sperare di centrare gli ambiziosissimi obiettivi che ci siamo dati a Parigi nel 2015 (zero emissioni nette entro il 2050).
La pandemia, perciò, è un’occasione per guardare alle crisi ambientali con occhi diversi, per ribaltare quel paradigma a cui ci eravamo tanto affezionati, nonostante gli scarsi risultati: la lotta al cambiamento climatico deve produrre crescita economica, non decrescita.
Si tratta di una grande occasione per chiunque saprà coglierla ma, in particolare, per il nostro Paese.
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L’Italia ha disperatamente bisogno di un modello di sviluppo innovativo, di un percorso alternativo a quello seguito dai Paesi dell’Europa settentrionale, che le permetta di accorciare la distanza accumulata negli ultimi vent’anni e tornare nel gruppo di testa delle grandi economie mondiali.
Al contrario, se ci appiattiamo sul modello rinnovabili-mobilità elettrica, l’unica prospettiva realistica è il declino economico e sociale.
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Per essere efficace […] la lotta al cambiamento climatico non può interessare esclusivamente il settore energetico e quello dei trasporti ma deve imporre un ripensamento complessivo delle tecnologie di produzione, delle filiere industriali e delle catene di approvvigionamento. In poche parole, saremo costretti a far evolvere il nostro sistema industriale. Parallelamente, dovremo imparare a sfruttare in maniera più efficiente il suolo e le risorse naturali, anche perché il cambiamento climatico sta già iniziando a crearci gravi problemi su questo fronte, sotto forma di catastrofi naturali e sconvolgimenti ecologici (siccità, riduzione delle rese, danni da fenomeni meteorologici estremi).
Al contrario di quello che sostiene un pugno di nostalgici, però, non ci possiamo permettere deroghe alla competitività e alla produttività: una transizione “in perdita” non solo non è auspicabile ma, soprattutto, non verrebbe mai accettata dalla popolazione, in particolare dalle fasce più deboli […]
Ciascuna decisione, perciò, va presa dopo un’accurata valutazione quadridimensionale: c’è la dimensione ambientale, quindi la stima degli effetti climatico-ambientali; c’è la dimensione economica, quindi l’analisi costi-benefici; c’è la dimensione sociale, quindi le ripercussioni occupazionali; e c’è la dimensione strategica, quindi l’attribuzione di un preciso ordine di priorità.
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Investire nell’economia circolare e nell’efficienza energetica degli edifici, promuovere modelli agricoli o zootecnici innovativi, rilanciare la filiera del legno e quella delle risorse biologiche, scommettere su settori promettenti come l’algacoltura e l’eolico off-shore, perciò, non significa solamente incentivare comparti economici da miliardi di euro di fatturato e centinaia di migliaia di posti di lavoro, vuol dire anche alimentare l’humus culturale, sociale e imprenditoriale in cui prosperano la fintech e i servizi avanzati, l’industria high tech e la meccanica di precisione. I settori più ambiti di ogni rivoluzione, insomma.
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Riuscire a conciliare le priorità della modernità ecosostenibie con il retaggio storico e la bellezza che caratterizzano le nostre città e i nostri territori può trasformare l’Italia in un modello per le economie avanzate e in un simbolo per la cosiddetta classe creativa globale, gli specialisti da cui dipende il grado di complessità di un sistema produttivo. Ma è necessario avere coraggio e immaginazione.
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Quando si affronta il tema della gestione del patrimonio forestale […] non si parla di un approccio romantico ma di una strategia per ridurre le emissioni nazionali e l’esposizione al rischio idrogeologico, rilanciare l’occupazione e le prospettive economiche nei contesti rurali, mitigare gli effetti dei fenomeni meteorologici estremi e rafforzare il brand Italia.
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L’obiettivo è una razionalizzazione delle risorse a disposizione e delle opportunità produttive che incentivi le soluzioni in grado di garantire un ritorno ambientale, sociale ed economico.
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Bisogna capovolgere il punto di vista sulla lotta al cambiamento climatico: non dobbiamo rendere ecosostenibile la nostra economia, dobbiamo rendere socio-sostenibile la nostra politica ambientale.